La giustizia sportiva è uscita molto appannata dal calcio scommesse. Processi sommari e veloci con l'obiettivo non di fare giustizia ma di dare delle "certezze" prima dell'inizio dei campionati, penalizzazioni ad alcune squadre anziché no, squalifiche tra allenatori e giocatori e alcune assoluzioni a sorpresa. Il calcio italiano è uscito scosso e con molti dubbi sull'efficacia della giustizia sportiva.
Ma negli stessi giorni è emerso anche il caso Lance Armstrong che dimostra come la lotta al doping sia accesa ma che riesce ad ottenere effetti postumi. E dopo i 7 Tour tolti, Armstrong viene visto ancora come un eroe nazionale. La sua scelta è stata semplice: evitare un processo mediatico per poter rimanere un mito e tenersi così gli sponsor milionari.
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| Fabrizio Macchi, bronzo ad Atene 2004 |
I due casi, anche se sono lontani anni luce perché riguardano tempi, uomini e sport diversi, si mischiano in un caso solo. Fabrizio Macchi, bronzo ad Atene 2004 nella gara d'inseguimento Lc3, è un ciclista che avrebbe voluto prendere parte alla spedizione italiana alle Paralimpiadi che apriranno i battenti tra meno di una settimana a Londra. Peccato che non ci andrà: infatti, la Procura antidoping del Coni ha chiesto una squalifica di 8 mesi per l'atleta perché Macchi avrebbe frequentato - il condizionale è d'obbligo - il famoso dottor Michele Ferrari, medico inibito dal Coni per motivi di doping. Dal canto suo, Macchi nega qualsiasi accusa: lui, il medico, lo conosce ma non ha mai avuto una frequentazione assidua, l'ha visto sì e no una decina di volte; quel che è certo, ha avuto una frequentazione durata un anno e mezzo, tra il 2008 ed il 2010, con la figlia Sara, la quale ha svolto una tesi in educazione motoria proprio sul ciclista. E ora, se dovesse perdere le Olimpiadi, dopo 4 anni di grande lavoro, Macchi minaccia di denunciare tutti.
Insomma, la giustizia sportiva si trova davanti ad un altro caso spinoso. Sta al Comitato Paralimpico italiano decidere se mandare o meno Macchi alle Olimpiadi per un'accusa esistente sì ma che è tutta da provare e, fino a sentenza definitiva, l'atleta risulta innocente - principio sancito dalla Costituzione Italiana. Macchi deve andare a Londra e fare il suo dovere; intanto, anche la giustizia dovrà fare il suo corso e se Macchi ha avuto per davvero contatti con un agente inibito dal Coni allora pagherà. Anche perché, se alla fine del processo Macchi risulterà innocente, avremo una vita ed una carriera stroncata da illazioni e da decisioni affrettate. Sarebbe una sconfitta per tutti: per Macchi di sicuro, ma anche per la giustizia sportiva di questo Paese che ha già privato ad un calciatore, Domenico Criscito, di giocare l'Europeo in Ucraina e Polonia con la Nazionale per una cosa che, probabilmente, non ha mai commesso o per essersi trovato al momento sbagliato nel posto sbagliato. Il caso Rebellin, argento a Pechino 2008 e con la medaglia cancellata per doping, insegna che la giustizia può sempre agire sulle classifiche anche anni dopo le gare. Nei casi di doping o presunti tali, il tribunale nazionale antidoping è solitamente molto severo ed il Coni vuole evitare di ripetere un nuovo caso Rebellin. Il solito problema della giustizia sportiva italiana, è che fa giustizia sommaria e nel doping il Coni è persino più severo rispetto ad altri Comitati. Non vorremmo che ad un atleta sia preclusa la possibilità di partecipare ad una manifestazione solo su dei sospetti e senza avere prove sostanziose.

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